Stegal67 Blog

Tuesday, October 27, 2015

Altre disavventure di un orientista impreciso

Ce l’ho fatta. Sono arrivato al 24 ottobre e sono ancora in piedi! I’m still standing, come cantava Elton John. Una data che avevo segnato in rosso sul calendario, seppur non coincidente a tutti gli effetti con alcuna gara del calendario orientistico. Il 24 ottobre, infatti, ho virtualmente chiuso la mia stagione orientistica 2015. Si, ok, potrebbero esserci altre uscite… aspetto con il consueto timore reverenziale la “50 lanterne”, o la bi-sprint di Angera nella speranza che sia un po più ricca di scelte di percorso rispetto alla passata bi-sprint di Ghemme. Ma il grosso delle fatiche si trova ormai alle spalle, con un rush finale che si è dimostrato più temibile dell’arrivo in salita sul Muro di Huy al 16% di pendenza: dopo i Campionati Italiani Long e Relay già descritti e la Tuscania Five Days (cui dedicherò un capitolo a parte), c’è stata l’Arge Alp e infine le finali di Suunto Sprint Race e Coppa Italia: gli ultimi quattro appuntamenti sia come apripista che come speaker.

Il titolo lo prendo direttamente dall’ultimo commento che ho sentito domenica scorsa, lasciando il campo di gara innevato di Campomulo. Di fronte alla mia performance sulla media distanza, percorso MElite in un’ora cinquantanoveminuti e tot secondi, un forte orientista con alle spalle alcune gare di campionato del mondo mi ha palesemente liquidato con un “eh… non sei certo un orientista molto preciso…”.

Ora: poiché di campionati mondiali ce ne sono ogni anno, di vario genere (maschile e femminile), numero (junior, assoluti e master) e grado (C.O., MTB-O, Sci-O, Trail-O) la citazione è sufficientemente vaga per non lasciare alcun indizio alle torme di miei fans e di mie fans che potrebbero leggere nella frase di cui sopra un reato di lesa Maestà e partire, fiaccole e forconi in mano, alla ricerca del fellòne o della fellòna per applicare la giusta punizione. In effetti, parlando solo della gara di Campomulo, i miei 119 minuti di gara + bava alla bocca + arrivo in totale apnea + visioni e miraggi vari sono materiale sufficiente per accettare il parere illuminato di cui sopra, metterselo in saccoccia e via così che magari ci vediamo l’anno prossimo su questi stessi scherni (no, non è un errore di stampa… non volevo dire schermi ma proprio schermi… ah! ah! ah! sono il re dei giochi di parole e li devo pure spiegare).

Ma poiché la giuria dei film U.S.A, anche quando si tratta di giudicare un colpevole di sgozzamenti multipli con vituperio di cadaveri, lascia sempre l’ultima parola al condannato… sia mai che quello tiri fuori un pistolotto che Al Pacino gli fa unapippa e così lo lasciamo andare bello contento in nome della bella letteratura, voglio avere anche io la possibilità di spiegare come ho trascorso le mie ultime 5 ore e 32 minuti (trecentotrentadue minuti) nei boschi della penisola, laddove a conti fatti la somma dei tempi dei vincitori delle ultime quattro gare è stata di 2 ore e 34 minuti (centocinquantaquattro minuti)!

Piccola precisazione: una lettrice, tra i due tesserati Fiso che leggono il mio blog, (e poi Dario P. dice che non è vero che il suo è il blog più letto d’Italia: ma guarda che bastano tre lettori per essere in cima alla hit parade! E poi si contano solo quelli che arrivano alla fine dei pezzi) mi fa presente che le ultime puntate dei miei racconti sembrano entrare di diritto nel filone orientistico noto come “ti racconto il mio percorso dal triangolo rosso all’arrivo, curva di livello per curva di livello e limite di vegetazione per limite di vegetazione… e tu seguimi sulla mappa e non perdere il filo! Anzi: se hai due schermi, su uno leggi il racconto, sull’altro segui la mappa e almeno impara qualcosa ‘azzarola!!!”.

Purtroppo, da me c’è poco da imparare. Le curve di livello sono una roba che boh?!? Non capisco nemmeno se devo andare in salita o in discesa finché non mi ci trovo. Le linee color magenta sto ancora lì a cercarle sul terreno ma non le vedo mai (eppure quel tal mio amico Sgiorsgiù le trova sempre…), ed i miei split times sono competitivi solo rispetto alla deriva dei continenti o alla precessione degli equinozi. Quindi questa volta limiterò al massimo la descrizione delle mie evoluzioni pindariche sulla cartina, laddove la linea più breve tra un punto e l’altro è per me sempre l’arabesco (cit.).

Capitolo 1:  i primi 71 minuti poco precisi.

La staffetta Arge Alp è stata un antipasto di (quasi) tutto riposo rispetto all’individuale della domenica. Non sono un amante della carta “Aprica bordo sud” nella quale abbiamo corso due anni fa i campionati italiani a staffetta. Faccio sempre una fatica da bestia sudicia a venire fuori dalla zona di partenza, su quel prato tipo pascolo che nasconde solo insidie per le caviglie, e sul quale sento nei polmoni tutto il peso dell’altitudine cui non sono abituato. Però, almeno stavolta, quando finalmente esco dal pascolo ed entro nel bosco mi sembra di aver finito di soffrire. Attraverso, corricchiando e cercando di non dare troppo nell’occhio, la zona dove pascolano le mucche; poi scopro che invece qualcuno mi ha già sgamàto e mi rincorre con voce irata e con la spingarda imbracciata e caricata a grani grossi di sale; l’intervento, quasi postumo – e parlo di me! - del vice sindaco di Aprica garantirà a tutti i concorrenti una gara tranquilla, come orientisti e non come bersagli del tiro a segno. 

Il mio appuntamento con la gloria orientistica è alla lanterna numero 4, carbonaia che il controllore Mark Widow’s assicura essere tecnico e di difficile reperibilità. Io vengo su dall’angolo del prato, in bussola, trovo pure una traccetta nel bosco in salita e … ohibò! Ecco il punto 4! Si vede che ogni tanto il Signore dei Ciuchi (in milanese sarebbe il Signùr di Ciùcc, ma vuole dire un’altra cosa) guarda giù e mi aiuta, perché pensa che sennò questo va a finire in Valcamonica e col cavolo che poi abbiamo uno speaker per la gara del pomeriggio!


(la carta di gara HElite, ricavata in pennarello rosso da una W55 inutilizzabile)

Il tracciato di Tommy Civera non ci scaraventa troppe volte su e giù per il pendio; il mio contributo come apripista lo do (se mai qualcuno me lo avesse chiesto) segnalando un paio di recinti che, in discesa, persino l’impiegato panzottello vede apparire all’ultimo momento prima di un possibile impattaaAARGGGGHHH! (verranno messi nastri segnalatori, ed un paio di recinti verranno aperti del tutto). Così, dopo aver affrontato anche la seconda parte del giro sui pratoni e tra le paludi, vengo a capo della faccenda nel giro di 1 ora, 11 minuti e qualche secondo. Dopo i saluti di rito con il gruppo emiliano-lombardo che sta preparando l’arrivo, mi posso concedere una bella doccia, una seconda colazione ed un po’ di riposo, con il pensiero che per la prima volta nella mia carriera da apripisspeaker (neologismo che troverete in una delle prossime edizioni dello Zanichelli, ma solo se ‘sta cosa prende piede) posso dire di aver finito la gara prima ancora che i concorrenti arrivino in zona gara. Ovviamente questo darà origine all’illazione, dovuta alla mia pulizia ed alla mia apparente freschezza in zona ritrovo, che “questa volta Stegal il giro non l’ha fatto!”. E invece si!


(Minkia!!! Lo yeti!!!)


Capitolo 2:  i secondi 115 minuti. Appena più precisi, ma col vomito!

Se nel sabato della staffetta Arge Alp posso fare tutto con calma, non così la domenica. Intanto occorre salire in quota  con la cabinovia, e all’alba la temperatura è decisamente gelida: sul terreno che porta alla partenza, e poi spesso lungo il bosco, si incontrano ampie zone di brina ghiacciata ed i piedini prima di fare sciaff! sciaff! nelle zone paludose fanno cric! crac!... e non sono le articolazioni ma la crosta di ghiaccio che si rompe. Partirei con la termica, se non fosse che FA VERAMENTE FREDDO! Di conseguenza sostituisco la termica con un pesante pile. Questa soluzione ha il pregio di farmi stare più caldo, ma ha il difetto che la traspirazione del tessuto è azzerata e questo provocherà a momenti alternati il congelamento e l’andare arrosto.

Alla partenza, e sono le 7.20 del mattino, Lucia Curzio si traveste da comica di Zelig e mi dice una roba del tipo “puoi partire da lì dove sei, anche se la partenza in effetti è qui tra questi due massi” (distanza tra “lì dove sono” ed i due massi = tre metri). Arrivo al primo punto mentre Giamba Ravasio lo sta posando. Arrivo al terzo punto mentre Giamba Ravasio lo sta posando. Lascio il sesto punto mentre Giamba Ravasio lo sta posando (giusto per fare copia & incolla). Ho un lieve problema di orientamento solo sul secondo punto, cui passo sotto di un paio di curve: mi ricolloco sulla mappa, identifico il punto, vado verso il masso in salita e qui avviene un dialogo surreale come può verificarsi solo alle 7.30 di un mattino di tranquilla posatura punti.

Scena: sbuco dietro al sasso e trovo Tommy Civera accucciato per terra e aggrappato al paletto.
Tommy! Ma stai cagando proprio sul punto di controllo???
Stegal! Ma ti pare che cago sul punto di controllo??? Mi sono accucciato per non farmi vedere da te!
(chiedo perdono per il linguaggio grezzo e maschio che usiamo noi che andiamo per boschi all’alba, ma sic stantibus rebus…)

Il resto del percorso non mi impegna nemmeno tanto dal punto di vista tecnico (vado piano, le lanterne si trovano come i cercatori di funghi trovano i porcini), e le lanterne nella bella parte di bosco a-bordo-carta-ma-non-troppo le infilo una dietro l’altra in compagnia dei posatori Mark Widow’s e MauTode. Dopo la 16, la mia scelta di percorso prevede di passare dritto il mezzo al ritrovo! Di stare in costa e andare a precipizio sul punto non ne ho alcuna voglia… meglio scendere pian piano, tagliare in mezzo alle tende (sono campione olimpionico di scelte che nemmeno il tracciatore vede) ed arrivare a 5 metri di distanza dal punto successivo stando sul sentiero! La mia scelta verrà descritta sulle prime come poco precisa, velleitaria ed inutilmente spettacolare … fino al momento in cui succede che dalla stessa strada passano: Christine Kirchlechner, Simone Grassi, Ingemar Neuhauser, Simon Seger, Donatus Schnyder, Mikhail Mamleev! E questo credo basti e avanti per alimentare il mio spropositato EGO! (no, Valerio Casanova, non ti ho dimenticato… come vedi sei citato pure tu! Ma quando mai mi leggerai?).


Sul percorso nulla da dire, se la gara finisse al punto 18. Invece Paolo Mario “PossanoMenarti” Grassi decide che non è finita lì, e di mandarci giù nella rumenta più nera (punto 20) per poi farci risalire gratis qualche buona curva di livello. Nel titolo del paragrafo accennavo a qualcosa che inizia per vo- e finisce nel –mito, che è esattamente quello che mi provoca lo sforzo di venire su fino al traguardo, dove arrivo poco pulito e solitario in un tempo che è solo 50 minuti superiore al quello di Stefano Maddalena (il che, più o meno, rende la mia gara una delle migliori dell’anno). Poi succede anche che il buon Madda dica che lui è andato piano perché le H45 bisogna vincerle in 45-50 minuti… a me viene solo da rispondere che se a Usain Bolt fai correre i 120 metri anziché i 100 metri (ma la gara la chiami ugualmente “100 metri”), non è che Bolt ti dice che ha fatto una schifezza perché ci ha messo più di 9.70! Però il Madda è il Madda, e non sarò certo io a convincerlo…

Capitolo 3: i terzi 27 minuti. Pochi, ma solo grazie a MikiRonda…

A distanza di una sola settimana dal freddo e dalle fatiche (e dalle emozioni) dell’Arge Alp, arriva l’ultimo fine settimana di doppio (… sarebbe quadruplo…) impegno. Per fortuna la prima tranche del weekend è dedicata alla finale della Suunto Sprint Race Tour e, se il Good Lord vuole, a Schio posso finire la gara in un tempo che non è quello con il quale i keniani bravi fanno i primi 40 km della Maratona. Grazie all’intuizione dell’ultimo minuto di Marco Giovannini, non sono nemmeno costretto a fare il viaggio da solo! Arrivando a Schio, ci accorgiamo subito che una gara tra le bancarelle ed i mercati del centro renderebbe la cosa molto ma molto (e drammaticamente) simile ad una Venice-by-day o ad una Rome-by-Mayday… 

Alla fine i percorsi disegnati per l’organizzazione dei miei amici del Viorteam andranno solo a lambire il centro ma, con i passaggi nei parchetti ed un po’ di dislivello che a Schio non è mai buttato lì per caso, verrà fuori una gara che non esito a definire davvero graziosa. I miei 27 minuti di gara sono il risultato della collaborazione tra chi scrive (e corre) e Michela Ronda che pedala al mio fianco e mi incita, così intanto si fanno anche due chiacchiere per passare il tempo durante le tratte più scorrevoli. Per chi non fosse a conoscenza dei trascorsi tra Miki e me, posso solo rimandare ai ricordi di quella salita e del coraggio che Miki mostrò quel giorno (e, da quel giorno in poi, tutti i giorni), che sono incisi con il cacciavite nel disco rigido della memoria.


Grazie alla complicità di Denis Vecellio e di Andrea Maccà, riusciamo persino ad organizzare una bella premiazione con lo speaker da una parte ed il podio dall’altra (non è mai abbastanza chiaro che sul podio ci devono andare i vincitori, mica io!)…



(questa è Aprica, by Paolo Menescardi = dove deve stare lo speaker durante le premiazioni)


Capitolo 4:  gli ultimi 119 minuti. E scusate se poi sono poco preciso!

… anche perché le notizie che arrivano da Campomulo parlano di un terreno innevato da una spruzzata di neve e di un freddo che lévati! Sabato sera, nel briefing pre-gara, il Bravo coach Cristian Bellotto (course setter of the year 2014 secondo i siti e le riviste più autorevoli) aveva già deciso per tutti che la mia idea di passare dalla MElite ad una più tranquilla M40 “non s’aveva da fare”. Neve o non neve, freddo o non freddo, sul percorso M40 avrei trovato “qualche loop in meno”, “qualche difficoltà in meno”, “un po’ di dislivello in meno”, “un bel po’ di divertimento in meno”. Insomma: quando tempo addietro avevo esclamato “Coach! Che bello! Vengo a provare l’Elite… dai dai metti un punto sullo steso sasso che Sgiorsgiù ha cannato l’anno scorso!!” mi ero fatto su il sacco al letto da solo!

Le ultime parole (poco famose) del coach prima di accomiatarci sabato sera sono state più o meno del tipo: “Considerato tutto, direi che puoi farcela in un’ora e un quarto”. Bisogna però tradurre dal Bellottesco allo Stegalliano, nella stessa misura in cui quando una donna ti chiede “Quanti anni mi dai?” tu fai un carpiato all’indietro, valuti l’età che diresti e poi togli subito 10 anni e poi altri 5 o 6 perché ci tieni alla pelle (e se fai una figura di emme anche così, vuol dire che trattasi di autentica “cozza”): le parole del coach vanno lette come “Considerata la panza, il fatto che vai piano e qualche vaccata ce la butti dentro, se stai sotto l’ora e mezza sei un miracolato, ma non è che te lo posso venire a dire in faccia”.

Lo Stegalliano viene poi ulteriormente arricchito da una più attenta lettura del Devoto-Oli-Rocci-Sticavoli: “Se il coach pensa che se sto sotto l’ora e mezza sono un miracolato, considerato che per terra c’è neve, che parto all’alba, che non  sto in piedi, che il ginocchio fa contatto col gomito… un’ora e quarantacinque e speriamo in bene!”.

Risulterà poi che chi corre sperando, arriva sbavando…

Sui primi tre punti me la cavo anche discretamente, seguendo le orme dei posatori (il che mi fa visitare il doppio delle lanterne del mio percorso, ma chissenefrega). Ok: finisco per terra più volte di quanto fece Primo Carnera contro Max Baer, ma l’importante è rialzarsi sempre! Quando poi mi sposto nella zona Sgiorsgiù, quattro punti disposti attorno al sasso più famoso dell’orienteering mondiale, il mio Angelo Custode si ricorda di avere un appuntamento da qualche altra parte (spero per lui un posto più caldo e meno impervio) e mi pianta lì come quello della maschèrpa. Il fatto è che la 3 è il classico punto “Good Lord, fammi trovare questo che al resto ci penso io”. Il Good Lord esegue e poi sta a vedere cosa faccio io…


Ed io faccio schifo: 7 (capirai… mi sono confuso… sta lì in mezzo… si era confuso anche Sgiorsgiù!) – 4… e oh! Per arrivare alla 4 sono dovuto scendere giù sul sentiero! – 6! – 5 (finalmente, dopo varie Madonne e minacce che “se non lo trovo stavolta, torno a casa!” – 6 solo perché ormai capisco dove sono passato prima e 7 perché ci sono già passato due volte e tra un po’ mi danno la cittadinanza o il foglio di via. Intanto se ne è andata la bellezza di un’ora e la previsione originale del coach è di una precisione tale da far passare per rigorosi e inflessibili quei mattacchioni dell’Indiana secondo cui PiGreco valeva 3,2. Il mio Angelo Custode si vergogna e decide di mandare un sostituto che si fa trovare sul sentiero proprio dove, molto tempo prima, avevo attaccato la 4.

Solo che il sostituto è Maja Alm.

Flashback. 
Nel luglio 2014 eravamo nello stesso posto (Campomulo) a correre una roba tipo “Staffetta Mondiale”, vero? Una delle frasi rimaste celebri quei giorni (non paragonabile alla “Michiels will be in first place at the changeover, because I said so!” ma siamo lì…) è stata detta durante il duello all’arma bianca in ultima frazione tra Wyder, Alexandersson e Alm. Mentre Wyder sembrava andare a vincere da sola, mentre Per Forsberg faceva il tifo perché il cervello tornasse nella scatola cranica di Alexandersson che stava vagando stile-Stegal, io me ne uscii con una cosa del tipo che la gara non era ancora finita perché Maja Alm sarebbe “venuta giù dalle moops a tutta velocità” (che sarebbe un’altra citazione di un altro evento sportivo… ma lasciamo perdere che il discorso è già contorto così). Così avvenne. Poi la Svizzera vinse lo stesso, ma non prima che Alm facesse venire il cagotto alle rossocrociate venendo giù abbomba dalle moops…

Adesso torno a me. Sono sul sentiero e compare Maja Alm. Il bosco improvvisamente è bellissimo, c’è il silenzio, non sento più freddo, la visibilità è ampia e… BUM! Dritto sulla 8. Mi giro, leggo le curve di livello come se le avessi inventate io e… BUM! Dritto sulla 9. BUM! Dritto sulla 10. Con l’accompagnamento della bionda danese e in un bosco finalmente vivibile, arrivo alla 13 in bello stile. Solo che commetto il peccato originale, mentre vago tra le buche fettucciate attorno alla 14, di dire a Maja che “… adesso faccio da solo”.

Sbarco sul sentiero e tiro due accidenti al coach! Va bene che ho da fare 220 metri di dislivello, ma se proprio mi evitavi di fare il salto da una parte all’altra della montagna… affronto la salita, non ne posso più, sono in giro da un’ora e mezza e improvvisamente… improvvisamente… mi cade l’occhio sulla scelta tutta su sentiero! che avrei potuto fare andando dall’altra parte. Giuro che mi stavo mettendo a piangere. Giuro che ho pensato che per punizione avrei dovuto fermarmi lì, congelare ed essere ritrovato al disgelo a primavera! Mi è venuto un tale magòne che non sono nemmeno più riuscito a rimanere sulla linea che mi ero prefissato, ma sono arrivato fino al tornante della strada: il tornante PIU’ A NORD!

Da quel punto, arrivare alla 15 è stato un velleitario tentativo di far apparire normale una gara che di normale non aveva più nulla; nel frattempo erano arrivate anche le 10, ovvero l’orario massimo entro il quale uno speaker degno di questo nome dovrebbe essere all’arrivo, lavato e pettinato, a dare il buongiorno ai concorrenti (magari dovrebbe farlo già alle 9.30…). Anche perché, per sovrappiù, la fatica e la bronchite mi avevano formato un tale blocco di catarro in gola che non respiravo più, se non con fatiche ancora maggiori di quelle date dalla corsa. Ecco spiegato il motivo per il quale, per lo schifo di tutti gli astanti, sono arrivato al traguardo più bavàto di un San Bernardo… solo che la botticella avrebbero dovuto picchiarmela sulla testa per via della mia insipienza tecnica!

119 minuti di gara, e anche Maja Alm se ne è andata urlando “Gid din røv må klø og dine arme være for korte!”.


E tutto questo per sentirsi dire che non sono un orientista molto preciso!

Thursday, October 22, 2015

In ricordo di Luciano


Dedicato a tutti i papà e a tutte le mamme che ogni giorno fanno del loro meglio
in silenzio e con coscienza, per la propria famiglia e per i propri figli,
affinché crescendo imparino il significato delle parole “responsabilità” e “serietà”
in un mondo che è sempre più complicato.
Quelle mamme e quei papà che insegnano il senso del rispetto verso le altre persone,
l’importanza dello studio e dell’educazione vero il prossimo,
la dedizione ad una passione sportiva.

Luciano è stato tutto questo ed anche molto di più.

Ogni volta che tutti noi guarderemo negli occhi Viola e Giacomo,
non potremo fare a meno di ritrovare la luce che emettevano gli occhi del loro papà Luciano,
di ricordare le chiacchierate fatte lungo un rettilineo di arrivo, ai ritrovi prima e dopo la gara.

Quando affrontiamo le difficoltà di ogni giorno
se affermiamo di farlo portando nel cuore il ricordo dei nostri amici,
non dimentichiamoci che questa è una promessa che abbiamo fatto loro,
e che dobbiamo mantenerla viva sempre,  
con l’esempio e con il nostro comportamento.

Grazie Luciano per tutto quello che mi hai dato, per tutte le parole che ci siamo detti,
E per l’abbraccio che è arrivato fino a Schio sabato scorso.


*** ***

Dal sito dell'Orienteering Tarzo http://www.ortarzo.it/2015/10/ciao-luciano/ 

All'interno di una sequenza fotografica dedicata a Luciano, le foto scattate a Velo d'Astico il 5 aprile 2009: Luciano che arriva al traguardo mentre lo speaker annuncia la vittoria contemporanea in Coppa Italia di Viola e Giacomo. Il sorriso di quel giorno sul viso di Luciano non si è mai spento.



Wednesday, October 14, 2015

Ho il cuore troppo tenero per certe imprese – parte 2

Loco di Rovegno. Domenica 27 settembre, ore 5.30. No, non è purtroppo un errore di copia&incolla del pezzo precedente… La sveglia è puntata davvero alle 5.45. L’Angelo Custode, che mi appare sempre nelle vesti di Thierry Gueorgiou, viene a svegliarmi 15 minuti prima del trillo. Decido lì sui due piedi (o, meglio, decido lì per lì sotto le coperte) che non è il caso di voltarmi per guadagnare 900 secondi di sonno. Dall’altra parte della stanza c’è sempre un fagotto che dorme abbozzolato nelle coperte: sempre Gianluca Carbone, che stavolta deve aver fatto le due di notte per gestire le ultime emergenze del Campionato Italiano a staffetta. Alla lucina dello smartphone mi alzo, prendo su tutte le mie carabattole, scendo le scale ed arrivo alla macchina. Solo quando apro il baule, mi accorgo che tutto attorno a me sembra offuscato e poco nitido, e non è né il buio della notte né una evidente stanchezza: sono talmente imbesuito di sonno che impiego un paio di minuti a capire che ho dimenticato gli occhiali di fianco al letto! Il pensiero di fare la gara senza occhiali mi sfiora… ma poi decido di rientrare, svegliando di nuovo tutto il caseggiato.

Ma praticamente è ancora notte fonda. La strada per Pietranera me la sono fatta descrivere il giorno prima. Mentre guido sulle curve, passato Rovegno, mi sembra di riconoscere alcuni luoghi dai quali sono passato il giorno prima durante la Long Distance: la tratta lunga su strada, la piazzola con la gag per il ristoro… Arrivo a Pietranera alle 6.00. Il paese è immerso nel silenzio e nel buio più totale. Stupidamente non mi sono fatto dare uno schema della zona di arrivo, mi sono solo fatto raccontare genericamente una descrizione del tipo “ci sarà un punto spettacolo, un attraversamento della strada, un corridoio fettucciato…”. Trovarli al buio è una impresa, anche se Pietranera è un paese di due case e una chiesa. Trovare un punto nel quale abbandonare l’auto è una impresa ancora più ardua.

Piccolo inciso, giusto per far capire il rischio che abbiamo corso…

Al momento di lasciare l’auto abbandonata, identifico uno spazio tra due alberi come “il punto più innocuo” per non dare fastidio a nessuno. Dico questo a beneficio di tutti coloro che, per entrare nel parcheggio dei Campionati Italiani, hanno dovuto fare 10 manovre per dribblare un’auto parcheggiata alla caxxo proprio all’ingresso del suddetto parcheggio… ecco,  era la mia auto! 

Decisamente non è la mia giornata!

Alla fine, nel buio, mi sembra di intravedere il corridoio fettucciato… per esserne certo devo entrare nel prato e toccare con mano il nastro, per capire se è la nostra solita striscia di plastica bianca e rossa o un recinto elettrificato. Parcheggio, mi cambio e faccio il taping, bevo l’ultimo brick disponibile di succo di mela Esselunga (pensando che se è bastato ieri per la Long, basterà anche oggi per la staffetta Senior) e mi avvio lungo la strada al triangolo di partenza. Orario? 6.25 del mattino. E’ ancora buio, lontano si intravede appena un chiarore, ma ho visto che per arrivare ai primi punti di controllo devo fare la traversata di una ampia zona aperta, e quindi decido di approfittare di ogni minuto per “portarmi avanti con il lavoro”.

Ovviamente devo essere molto circospetto: non sempre riesco a vedere dove appoggio i piedi e basterebbe incocciare il buco di una talpa per andare lungo e disteso! Di conseguenza la mia scelta per attaccare il primo punto non è quella che si vede sulla carta di Alessio Tenani, ma quella à-la-Stegal: prato, sentierone, sentierino fino alla cima dell’ampio collinone, poi la traccetta che porta nel bosco (al buio sembra di varcare la porta dell’inferno) fino a sbucare nella radura. Qui arriva la prima lieta sorpresa della giornata: due volpi sono accucciate a meno di 5 metri da me! Non ho mai visto una volpe così da vicino, e la cosa mi fa decisamente sorridere: ormai credo di essere più noto come “l’orientista che sveglia il bosco” (assicuro che il baccano che faccio con le Inov-8 numero 50 lo sveglia davvero) che per le mie doti al microfono!


Alla radura attendo qualche secondo che l’alba porti un minimo di chiarore, ma gli occhi evidentemente si stanno abituando alla poca luce. Scendo più o meno a casaccio fino alla prima linea di rocce ed arrivo in bello stile (che significa “scendendo più spesso sul culo che sui piedi”) alla roccetta. Il mio secondo punto è più lontano rispetto a quello di Teno, in un avvallamento grosso come una casa, ma quando vado a nord impiego poco a rendermi conto che non ci capisco più una beata fava! Dopo aver girato 5 minuti a vuoto e tirato giù i santi che si erano appena ricollocati in cielo dopo la Long, torno sotto la roccetta, rifaccio il punto della situazione, vedo che l’ago della bussola punta di lì e che la direzione che avevo preso prima era di là, e alla fine impiego circa 9 minuti per un punto da fare in 2! Punto 3 abbastanza facile prendendolo dal primo fosso, ma poi sbaglio anche il punto 4: arrivo in cima al nasone ad est del punto, mancandolo di qualche metro, e devo scendere di nuovo tra le rocce prima di poter dire “ok, sono arrivato”.

E’ il momento della prima tratta lunga: torno al nasone nel bosco, traccia di sentiero… e seconda gradita sorpresa! Un cervo!!! Un autentico cervo con palco di corna e tutto, sul sentiero a pochi passi da me. Non ne vedevo uno in gara dai tempi di Anterivo. Quel cervo non è per nulla spaventato  da me, se ne sta lì fermo come se io fossi appena un alito di vento nell’alba di Pietranera. Io resto lì per qualche secondo senza sapere cosa fare (sono pericolosi i cervi?) ma alla fine il quadrupede si gira e si dilegua nel nulla. Così anche io posso procedere, fino ad uscire di nuovo sul prato… ora l’oscurità ha lasciato spazio alla luce, ma il Principe Ignoto che è in me non può cantare “Dilegua o notte!... Tramontate, stelle!... All'alba vincerò!”: può solo capire che dopo essere stato per 20 minuti nel buio del bosco con le pupille dilatate, la luce del mattino sembra uguale a quella di mille riflettori a San Siro!

Il fatto di essere venuto a capo delle prime 4 lanterne in condizioni “Tiomila Langa Natta ma senza pila frontale” in un tempo appena decente, mi convince del fatto che ho la possibilità di fare le cose con calma, quindi per andare alla 5 torno alla strada, scendo verso sud ed attacco la zona dal sentiero.

Da qui in poi le cose prendono una piega sbagliata, ma tanto sbagliata, che più sbagliata non si può.

Si inizia con il punto 5, che non è difficile e per fortuna non è uno dei roccioni sul costone ma il primo che si incontra andando in bussola. Solo che da quel momento il mio percorso assume i contorni di un incubo, più che di una gara in solitaria. Inizio cominciando a scendere tra le rocce, ma tra la penombra ed il terreno che mi sembra ridotto ad una specie di ghiaione, mi sembra di essere sull’orlo di un baratro di cui non vedo il fondo, con il terreno che sta rapidamente cedendo sotto il mio dolce peso ed i sassi che franano e rotolano senza che io percepisca il fatto che si fermano da qualche parte. Mi isso un po’ a fatica in una zona sicura e provo un secondo tentativo: peggio del precedente! Evidentemente il mio Angelo Custode, dopo avermi svegliato prima dell’alba, ha deciso di andare a cartografare la pineta di Sarnonico! Mi sposto ad est e comincio a scendere di sbieco, ma senza migliori risultati… alla fine decido di risalire fino alla traccia di sentiero e puntare verso nord-est, facendo un giro assurdo per cercare di arrivare al punto 6: mi sembra ugualmente una specie di discesa agli inferi, ma almeno per un po’ riesco a seguire la traccia di sentiero che porta sempre più vicino al rumore dell’acqua che scorre.

Quando finalmente arrivo nel vallone, abbastanza tremante e sudato gelido ma più per la paura che per la fatica, impiego quella che mi sembra una eternità per arrivare a capo della 6, e poi della 7 (per fortuna la scala è 1:10.000 e la sofferenza nel verdone è minore rispetto al giorno prima). Sono talmente a pezzi che, per andare alla 8, salgo sulla strada e poi corro da est ad ovest lungo il sentiero: penso di aver trovato il punto, alla fine, ma ad essere sincero non è che ormai me ne importi più di tanto. La 9 è facile (raggiunta ancora dal sentiero) e la 10 se il Good Lord vuole è ancora più facile (perché ci sono passato il giorno prima). La mia 11 per fortuna è molto più vicina e facile di quella della carta di Teno (si trova al bivio dei ruscelli, quindi non la sbaglio nemmeno se volessi) e mi posso astenere dalla scelta che con ogni probabilità, a vedere la carta di Teno, mi avrebbe visto fare di nuovo il giro del fullo del giorno prima, per prendere la lanterna dal sentiero ad ovest. Nel frattempo sono passato dalla zona dove si stanno organizzando quelli del campionato di softair: mi sembra di ricordare che, la sera prima, un paio di questi  si erano procurati due pettorali dei nostri campionati italiani con i quali intendevano “mimetizzarsi” per fare qualche agguato alle squadre avversarie! Se questa cosa è trapelata, sono spacciato ma giuro che se qualcuno mi salta addosso pensando che io sia una specie di Rambo dell’altra squadra, lo squarto a mani nude peggio dello sceriffo Teasle!

Alla 12, sinceramente, so di esserci arrivato (arrivato a capire che sono in cima al roccione, intendo) ma di fare il giro e scendere al piede della roccia non ne ho la benché minima intenzione… anche perché il morale è ormai sotto i tacchi, la voglia e l’animus pugnandi sono andati a farsi un giro altrove, dell’Angelo Custode ho già detto, ed io ho già capito da tempo che questa volta non finirò la gara! Raduno le ultime forse per arrivare, via strada e sentiero, alla 13 ma poi mi dichiaro ad alta voce che la mia avventura è finita lì: la 14 sarebbe ancora raggiungibile, tornando sul sentiero (pazzo chi è andato lungo il fiumiciattolo!), ma a quel punto il modo più facile per tornare al traguardo sarebbe quello di proseguire fino alla 15 e da lì issarsi alla quota del ritrovo, ed io non ho la benché minima intenzione di affrontare di nuovo il fondo dell’orrido vallone tra le rocce!

Prima di ritirarmi, però, voglio togliermi la soddisfazione di andare a vedere se il burrone sotto la 5 mi appare in modo diverso sotto la pallida luce del primo sole del giorno; torno alla strada, faccio il giro dei tornanti, arrivo di nuovo a nord del punto e rientro nel bosco: la lanterna non è ancora stato posata, ma il burrone mi appare ancora nella sua orrida ovvietà. Mentre rientro verso la strada, incrocio Rudy che sta andando a posare e gli esterno qualche mia preoccupazione, cosa che farò qualche minuto dopo con Raus quando lo incontrerò mentre sta andando a posare alcune lanterne della prima parte di gara.



Da qui avanti sulla mia esperienza come apripista non ho nulla da dire. Vado avanti a scrivere solo come ricordo per il mio diario personale.

Innanzitutto cominciamo a mettere le cose ancora più in chiaro. Fare il tracciatore non è il mio mestiere! Non ne sono capace, non ho fatto e non farò mai corsi di tracciatore, non ho alcuna esperienza di tracciatura nei boschi. L’orienteering non è ancora pronto per un tracciato (di qualsivoglia livello) firmato Stegal. Continuo a ribadire che è quasi una magia il modo in cui i tracciatori, con alchimie che secondo me sconfinano nella stregoneria, riescono a far combaciare i tempi attesi per una gara secondo quanto previsto dalle regole internazionali con il disegno del percorso sul quale gareggeranno atleti di qualsiasi livello. Per quello che ho sentito, non solo in occasione del 2015, fare il tracciatore di una gara di Campionato Italiano implica un lavoro che in passato (ed era il 17 febbraio 2012), avevo provato a commentare in un pezzo dal titolo “La vera storia di questa storia

Chapeau ai tracciatori, quindi, da parte di coloro ai quali il tracciato del Campionato Italiano Senior a Staffetta è sicuramente piaciuto: Mamleev, Tenani, Inderst, chi ha vinto nelle categorie Elite, Master e Giovani ed anche chi non ha vinto ma ha trovato pane adatto per i suoi denti e si è divertito. Faccio i complimenti a tutti coloro che sono scesi sul campo di gara il 27 settembre, e che hanno affrontato la tenzone con abilità fisiche e tecniche sicuramente superiori alle mie. Io però, e non mi capita spesso, mi sono sentito molto a disagio, anzi sempre più a disagio, mano a mano che procedevo nel bosco. Non intendo dolermi per il tipo di terreno di gara: preferisco i boschi bianchi alla maglia nero-verde del Sassuolo che ho affrontato a Pietranera, ma a Monza solo una settimana prima una potenziale campionessa italiana mi aveva severamente ammonito con la frase “dove c’è carta, c’è gara!”. 

Il fatto è che quando mi sono trovato per la seconda volta ad annaspare sulla discesa dalla 5 alla 6, non pensavo più alla mia gara ma a tre nomi che avevo letto sulle griglie di partenza (e tengo a dire che non è affatto colpa loro se la mia gara è finita nel modo che ho già descritto): si tratta di Lily, Tommy e Marisa ai quali esterno adesso (se mai lo verranno a sapere) il mio pensiero, e magari commenteranno scuotendo le spalle e dicendo “ma questo non potrebbe farsi i cavolacci suoi, che a noi il percorso è andato benissimo così???”. Il mio percorso era una “M Senior”, non una “M Elite” e questo, un po’, secondo me comincia a generare qualche piccolo equivoco.

In Italia non tutte le staffette Senior sono composte unicamente da autentici Elite, ma ci sono anche squadre degnissime che vedono un terzo frazionista altrettanto degno ma magari meno avvezzo a passare là dove i vari Hubmann e Lundanes, ma ovviamente anche i vari Seba Inderst, gli Emiliano Corona, i Miki Caraglio, i Misha Mamleev, i Jonas Rass, i Lorenzo Pinna, i Jack Nisi, i Marek Hadam (andando a memoria su alcuni dei passaggi segnalati dall’ottimo Fabio Storti – che approfitto per ringraziare - che era al punto radio nel bosco) non si fanno problemi e non hanno alcuna remora a lasciar andare le gambe in discesa.

Ma domenica 27 settembre a Pietranera non sono così convinto del fatto che fosse necessario inserire alcune specifiche tratte per fare quella selezione di minuti e minuti che poi al traguardo abbiamo visto con i nostri occhi. Quando sono tornato dal bosco, mi sono sentito addosso una grande responsabilità, e con il distacco del tempo che è trascorso devo ammettere che questa si è manifestata nel modo sbagliato.

Per questo modo mi scuso qui con il tracciatore, il controllore e gli organizzatori.

Io mi sono sentito addosso la responsabilità di trovare un modo per dare qualche avvertimento agli allenatori, ai master che magari non hanno più l’elasticità mentale e soprattutto fisica per reagire ad una improvvisa situazione complicata, ma soprattutto a quei ragazzi che non hanno una piena maturità tecnica e, in una gara a staffetta, possono arrivare a rischiare più del dovuto o a sentirsi addosso la responsabilità di coprire un “buco” di una staffetta con due atleti più forti.


(foto by Davide De Nardis)

Il modo in cui questa responsabilità è uscita fuori, prima di accedere al trabattello dal quale ho commentato la gara, e poi nei minuti prima del via, può essere stato sbagliato nella forma e nella sostanza. Con il senno di poi posso dire che, non dovendoci essere nessuno nel bosco prima delle 9.30, non dovrebbe esserci nemmeno nessuno a ricordare agli atleti che, prima di ogni altra cosa, noi siamo tutti esseri umani dotati di senno, e che quel senno e quella lucidità dobbiamo usarla anche nel bosco prima di andarci a mettere nel pericolo. Credo che in un momento che per me è stato emotivamente difficile soprattutto dopo quanto è successo due anni fa, queste siano state le parole che ho usato (ma anche quando mi troverò di fronte di fronte a San Pietro, o al giudice Di Pietro, dovrei ammettere come un novello Arnaldo Forlani che “non mi ricordo…”)

Il giorno stesso della staffetta e poi ancora nei giorni successivi e infine anche all’Arge Alp di Aprica, ho ricevuto a riguardo commenti tra l’arrabbiato, l’offeso, il perplesso ed il comprensivo. Uso volutamente tre parole con una connotazione negativa o parzialmente tale ed una parola con una connotazione positiva perché, in percentuale, questa è stata la distribuzione dei commenti. (non sto parlando di commenti fatti da tracciatore, controllore ed organizzazione con i quali non ho più parlato dopo la gara di questo argomento!).

Mi scuso quindi con coloro che, come atleti si sono sentiti negativamente sorpresi dai miei “avvertimenti”: coloro che sono dotati dalla natura, dall’età e dall’allenamento di qualità tecniche e fisiche in grado di domare tutte le zone di bosco che abbiamo attraversato a Pietranera; coloro che sono sicuri del fatto che un percorso che assegna un Campionato Italiano debba essere per forza di cose molto più challenging di quelli che affrontiamo ogni settimana; coloro che, gareggiando in una categoria molto giovanile o molto master, non hanno affrontato alcuna delle tratte che ha messo me in seria situazione di difficoltà e quindi al traguardo sono rimasti basìti per il modo in cui io, che non ho alcun ruolo per farlo, mi sono permesso di suggerire prudenza prima della partenza.

Nella mia esperienza di speaker-corridore ho sempre cercato, come è successo anche ad Aprica nello scorso fine settimana, di essere un valore aggiunto lungo il percorso, in qualità di atleta (parola grossa) che cerca di testare il percorso veramente da vicino, nelle condizioni di gara e senza precedente conoscenza, prima che su di esso si cimentino i concorrenti veri. Voglio ringraziare Tommy Civera e Lucia Curzio che, in occasione della staffetta di Aprica, hanno ascoltato la mia esperienza fatta poco prima del via ufficiale, decidendo poi in autonomia se apportare un minimo correttivo – mettere giù delle fettucce e chiedere l’eliminazione di un recinto che io ho intravisto a due metri di distanza quando mi ci stavo lanciando contro - oppure no.

Spero che questo mio modo di pensare, in futuro non debba costituire una difficoltà, sarei pronto a discuterne ed eventualmente rivedere il mio ruolo.

Ma forse è proprio vero: il mio cuore è diventato troppo tenero per certe imprese!


(… continua…)

Monday, October 12, 2015

Come disse Murtaugh, sono troppo vecchio per queste "cose" – parte 1

Loco di Rovegno. Sabato 26 settembre, ore 5.30. Suona la mia sveglia. Dall’altra parte della stanza dorme Gianluca Carbone, che deve essere andato a letto all’una di notte dopo aver fatto la spunta di tutte le cartine del Campionato Italiano Long distance. Gianluca pensa che io sia uscito dalla stanza facendomi luce con la pila frontale… magari! Ho usato lo smartphone. Mi vesto al buio, scendo le scale, esco dal “Palazzo” e sono sulla Statale. Apro il baule dell’auto e, alla luce della lampadina interna, faccio colazione con un brick di succo di mela Esselunga. Mi deve bastare per la mia gara Long… mi deve bastare per tutta la mia gara Long Distance, categoria Elite, da solo nel bosco. Prevedo oltre tre ore di gara: ma il brick deve bastare.

Perché lo faccio? Boh? Il fatto che quando una idea germoglia nella testa, poi è difficile tirarla via. L’anno prossimo la mia età sarà a quota “sette al quadrato”. Non ho più tante cartucce da sparare, e poi quest’anno ho fatto la O-Marathon, e l’ho fatta solo usando la testa, non il fisico. Posso reggere a lungo se vado piano. Ma posso provare il percorso Elite dei Campionati Italiani a Lunga Distanza? Forse posso. Mi piacerebbe raccontare agli atleti, una volta vestiti i panni dello speaker, i luoghi nei quali i big si giocheranno la gara, dove potranno avere lo spazio per una ultima rimonta o dove dovranno tenere le ultime energie per resistere al comando. Mi piacerebbe. Posso farcela? Forse.

Però poi le cose prendono la piega sbagliata. Prima ci si mette il tracciatore, Rudy De Ferrari, a disegnare il percorso Elite più duro degli ultimi anni. Ci si mette … qualcuno? qualcosa?… ad anticipare di mezz’ora l’orario delle prime partenze alle 10.00. Ci si mette… beh! Sull’orario in cui albeggia non posso dare la colpa all’astronomia, però con un campionato italiano alla prima settimana di settembre avrei avuto più margine per la mia corsa solitaria.


(notare l'orario di partenza - si vede meglio capovolgendo il video!)

Dopo il brick è ora di salire in macchina. Il parcheggio del ritrovo è poco distante. Parcheggio la macchina tra i camper e indosso termica e divisa. Un movimento da un camper: Gianni Biroli, che si è già svegliato e forse sente la tensione pre-gara, che si aggira anche lui nel parcheggio. E’ ancora buio pesto (io lo riconosco dall’andatura, come sempre). Due saluti come sussurri ed una stretta di mano tra atleti. Alle 6.20 lascio il parcheggio e risalgo lungo la strada, con qualche fioca luce ai bordi a mostrarmi la prossima fettuccia che mi porta in partenza. Alle 6.40 sono a bordo strada, in attesa di un po’ di luce per entrare nel bosco, per percorrere le ultime centinaia di metri che mi portano al triangolo di partenza. Veder arrivare da est le prime luci dell’alba è come vedere il mondo che rinasce: è ancora buio ma posso entrare nel cunicolo stretto che va verso la partenza. Alle 6.45 c’è un chiarore sufficiente per farmi vedere i macrodettagli della carta e capire dove è il triangolo di partenza. Alle 6.50 parto.

Percorso Elite. Io sono solo un Impiegato Panzottello, non un Elite. Sono l’abusivo, sono lo scarto, sono “indovina l’intruso”. Per questo è meglio che io parta in un orario diverso dagli altri. La sera prima, parlando con Rudy e Raus, avevamo stabilito la “tattica”: divincolarsi velocemente dalla prima area di gara, fare una passata sulla zona con un sacco di punti di controllo (dove di fatto sarebbero andati solo gli Elite), ritornare velocemente e fare una seconda rapida passata nella zona impestata di rocce ed ostacoli… Facile a dirsi. Se avessi 4 ore di tempo, potrei farcela. Anche 3 ore e 45 minuti. Ma mezz’ora me la ha portata via il regolamento (partenza alle 10 anziché alle 10.30), mezz’ora me la porta via l’astronomia (gara il 26 settembre anziché il 5 settembre). Non posso fare tutto il percorso e dovrò trovare qualche scorciatoia.

Questo toglie un po’ di “tensione agonistica”. Credo sia arrivato il momento  di spiegare ai miei tre lettori (che lo sanno già, peraltro) alcun cosette. Perché lo faccio? Primo: perché sono un orientista. Sono scarso, panzottello, impiegatizio, poco allenato, tecnicamente impreparato, vecchio… ma sono un orientista; e l’orientista va alle gare per andare nel bosco. Io sono uno di quelli che, più ci sta, meglio è. Secondo: sono lo speaker di uno sport nel quale nessuno vede davvero come si svolge la gara; cosa ne sa lo speaker se Mamleev ci mette 100 minuti anziché 90, a finire la sua gara, perché il bosco è terrificante oppure perché sono diventati tutti scarsi e vanno piano? Forse allo speaker non dovrebbe nemmeno interessare! Forse lo speaker dovrebbe recitare con voce monocorde che “Mamleev passa al comando (… yahwwnnnn…) con un tempo di tot ore tot minuti tot secondi e massì mettiamoci anche i decimi (super-yahwwnnnn…)”. Bello? Quindi… terzo punto: io posso parlare al microfono per 5 ore di una gara ma ogni tanto ci devo mettere dentro la monàta, lo scherzo; e gli orientisti magari capiscono che mi permetto di scherzare perché la loro fatica l’ho fatta anche io, e se dico che il percorso è duro, è perché l’ho provato sulla mia pelle. Ok. Sono l’unico a pensarla così. Forsberg di sicuro nel bosco non ci va, ma lui è Forsberg: guarda la cartina e capisce in un nanosecondo dove si deciderà il campionato del mondo. Io sono io. Guardo la cartina e dico “uuuhhh… che bello sarebbe andare a mettere un punto di controllo proprio lì!”, ma poi vorrei anche avere la possibilità di andare a cercarlo!

Sapere già dall'inizio che non concluderò la gara toglie parecchia tensione agonistica. Quella che cerco quando dico agli organizzatori che, alba o non alba, io vorrei fare una categoria agonistica e vorrei gareggiare per essere in classifica, anche ultimo (quasi sempre ultimo). Altrimenti, ma non sarebbe la stessa cosa, potrei cominciare a farmi dare una cartina “tutti i punti” e fare un giro a caso dei paraggi. Oppure, meglio ancora, potrei farmi dare una cartina senza alcun punto e fare un giro ancora più corto. Oppure, ancora, potrei farmi dare una cartina degli Esordienti e farmi il giro sui sentieri: mi alzerei alle 8 del mattino e potrei fare le cose con calma. A questo punto potrei anche non fare nulla e limitarmi al commento. Anzi, estremizzando, potrei anche stare a casa e passare la mattinata all’Ikea. Ma io non voglio andare all’Ikea! Ed il modo migliore per non andarci è quello di mettere l’asticella sempre in alto. Anche se vuol dire incrociarsi con Gianni Biroli alle 6 del mattino nel buio di un parcheggio di Rovegno, Liguria.


Nella penombra del bosco di Rovegno, il primo punto lo trovo facile (c’è davanti la collina) anche se per uscire dal bosco fino al sentiero servirebbero le gambe di Mats Haldin e per convincermi che sono arrivato davvero a 3 metri dal punto, senza dover stare ogni volta a guardarmi intorno pensieroso “dove sarò capitato?”, ci vorrebbe l’arroganza tecnica di Gustav Bergman. Per la 2 e la 3 io e Teno (la cartina è ovviamente la sua) facciamo la stessa scelta… a due velocità diverse direi così a prima vista! La 3 è bellissima perché sbarco in piena carenza di idee su un pianetto e all’improvviso dal bosco fitto e impestato mi trovo in una pineta di piccoli alberelli di Natale che fanno tanto "bosco dell’Alto Adige", e per qualche secondo non so se è meglio star lì a sentire il profumo o cercare il punto! La 4 è facile, ma io la prendo dalla strada perché non sono Gustav Bergman, mentre sulla strada per la 5 succede qualcosa per la quale tutti gli Elite dovrebbero offrirmi da bere alla prossima gara… ok! Ho capito che morirò disidratato.

Succede che al ristoro cerco senza successo l’acqua, ed un tale mi si avvicina (stava lavorando con ruspa e benna per rimuovere dei tronchi d’albero) per sapere se ho perso io le bottiglie. No, non le ho perse io, ma le sto cercando… “ah! Devono essere cadute dal camion di qualcuno, e le ho fatte portare via da uno dei miei uomini”. Ach! “Guardi, da qui ad un paio d’ore deve passare una gara… non è che potrebbe farle riportare, che ne avrei bisogno anche io?”. La persona è gentile e mi assicura che chiamerà per far riportare il tutto. Intanto io spiego che ripasserò nel giro di una mezz’ora abbondante (si, come no... mezz'ora), e che sarebbe un piacere potermi ristorare. A quel punto parte il mio Campionato Italiano Long Elite a sequenza libera: 5 – 7 – 8 sfruttando il sentiero (che bello il bosco attorno alla 8!) – 15 con problemi tecnici e almeno due minuti persi sul pianetto – 14 con problemi fisici e parolacce al tracciatore e alle sue prossime generazioni – 13 – 12 e le parolacce arrivano anche agli antenati di Rudy – 11 – 10 e mi riconcilio almeno con gli antenati – infine la 6/9/16 fatta tutta in un colpo solo (che culo correre il campionato a sequenza libera…).

A questo punto si passa alla cartina numero 2. Io la avevo già in tasca bella piegata ma mi immaginavo che gli Elite, trovandola alla 16, avrebbero tirato giù i santi del Paradiso dal 1° luglio al 31 dicembre (il primo semestre lo avevo prenotato io). Arrivo alla 17 in piena carenza di forze fisiche e guadagno faticosamente la strada per tornare al ristoro, dove trovo bottiglie ed il tizio sorridente che mi passa persino un biglietto da visita dicendo “per qualunque problema, chiamami a questo numero!”. Biglietto che sarà passato a Carbone a fine percorso… Quindi, cari Elite che avete trovato il ristoro, mi dovete una bevuta!!!

Forte della mia bottiglietta in mano, faccio la 18 in piena arroganza tecnica svedese. Sono ancora arrogante alla 19 (ma ci arrivo dal bivio di tracce di sentiero), mentre per la 20 resto lì a contarmela su per un po’ senza vedere altra soluzione che fare il “giro del fullo” (Larry cit.): sentiero verso sud-ovest, sentiero verso nord-ovest, giro del collinone verso nord-est e, quando il bosco diventa bello bianco e quasi piatto a digrarare in basso (e cerco di immaginarmi la velocità di uno Scalet…), torno arrogante e arrivo alla 20 senza sbagliare di un metro.

A questo punto ricomincio il mio Campionato a Sequenza Libera: scelta à-la-Tenani fino alla 25, scelta à-la-Stegal (cioè a caso) per la 26. Ancora più penosa è la mia scelta per andare alla 27, nella quale prendo la pietraia di petto o per meglio dire sotto la pianta dei piedi! Rimbalzo due volte verso l’alto perché non c’è verso di attraversare quell’inferno, e meno male che al terzo tentativo trovo il punto perché veramente non sapevo più che pesci pigliare… Trovo il punto ma perdo più o meno definitivamente l’uso della gamba sinistra, la cui reattività rimane tra le rocce attorno alla 27. Usando la sinistra più o meno come una stampella di carne ed ossa, trovo facile la 28 e la 24 (che, o cara grazia!,  posizionata alle colonne d’Ercole dell’inferno e quindi la scelta di percorso è “appena comincio a non stare più in piedi, capisco di essere andato lungo”).

Seduto per terra di fianco alla 24, con l'aria di uno che è fuggito da un carcere di massima sicurezza nelle paludi della Louisiana e sente il latrare dei bloodhound appena dietro le spalle, e con ancora un quarto di bottiglietta in mano, prendo fiato per capire cosa mi aspetta ancora: la 23 è l’ultima vera insidia. La 23 è il punto nel quale di solito torno ad avere un Padreterno e cominciano le litanìe del tipo “Good Lord… fammi trovare questo punto che poi agli altri ci penso io! E potrei persino diventare più buono, ma tu intanto fammi trovare questo…”. Non so se è il Good Lord o il mio Angelo Custode che ogni tanto assume le fattezze di Gueorgiou, ma casco più o meno addosso alla 23: la vedo perché davvero ci sbatto addosso… in questi casi di solito controllo tutto il controllabile a destra e a sinistra e la lanterna mi compare davanti come se niente fosse, ma a 15 minuti al chilometro credo che potrei trovare anche lanterne invisibili. Mi tiro fuori a fatica dalla 23 verso la 22 (“Caxxo! Non era l’ultima insidia… ehhmmm… caro Signore… non  che potresti cortesemente concedermi l’utilizzo della gamba sinistra ancora per qualche minuto? Poi prometto che sarò buono e dirò meno parolacce… ah! Avevo detto anche prima che sarei stato più buono? E invece continuo a dire parolacce?? Ma non vedi anche tu dove ci sta mandando quel *%&$£* di Rudy???”.

Risalita al sentiero. Nuovo giro del fullo sul sentiero (con la tentazione di raccogliere un po’ di mazze di tamburo sparse qua e là) e attacco la discesa per la 29 un po’ più in là rispetto al giro che fa Tenani, ma almeno riesco a tenere insieme i pezzi della gamba ancora per un po’. La 30 è facile, la 31 è ovvia (dalla strada). L’unico problema per la 32 consiste nel passare attraverso le ortiche appena sotto la strada. La 33 è facile ma… porca miseria!... proprio a bordo statale così mi tocca sentire le auto che passano e rifarmi le curve di livello in salita??? Sbaglio anche la 34, e da orientista tecnicamente depresso quale sono, mi immagino persino che qualche Elite potrebbe giocarsi le posizioni arrivando sull’avvallamento (con lanterna) vicino al sasso… insomma che faccia lo stesso errore che faccio io! Probabilmente gli Elite veri hanno messo via la cartina 10 minuti fa e stanno finendo il percorso a memory! 

Per non farmi mancare niente riesco anche a lambire la strada asfaltata prima di scendere precipitare sulla 35, laddove “precipitare” significa che mi faccio agganciare il piede da un rovo e faccio un volo a planare verso la lanterna proprio nei primi 3 secondi nei quali arrivo a vista dei ragazzi che stanno salendo verso la partenza, giusto perché di figure di "emme"… non ne faccio abbastanza quando il mio nome compare nelle classifiche finali! La gamba tiene ancora per abbozzare un tentativo di volata, nella quale rischio di “abbattere” qualche concorrente che staziona o passeggia lungo il per-nulla-rettilineo finale. Quando sbuco sull’ultima curva, alle 9.52, vedo la lanterna del finish e la prima tentazione è di raggiungerla senza dover correre gli ultimi metri… già, ma con che cosa potrei raggiungerla? Beh… con la bottiglietta del famoso ristoro nel quale è rimasto un ultimo goccio di acqua per le emergenze, no? 

Tiro la bottiglia contro il cartello “finish”, lo centro con un gran botto e, mentre gli addetti dell’arrivo si guardano sbigottiti al pensiero di “ma che matto è mai questo?”, mentre il mio orologio si ferma a TRE ORE DUE MINUTI E 42 SECONDI DI GARA, mentre la mia gamba sinistra entra in sciopero sostenuta dai picchettaggi di entrambi i piedi, mentre una vocina del mio cervello dice che ce l’ho fatta!, che ho trovato tutti i punti!, che potrei persino essere il nuovo “Campione Italiano Long Distance a Sequenza Libera”! (la mente, sotto sforzo, vaneggia)… mentre un'altra vocina si complimenta per aver fatto tutto questo con un brick di succo di mela e mezza bottiglietta d'acqua nella pancia, mentre l’unica vocina intelligente del cervello si chiede con quali energie riuscirò a fare lo speaker per le successive 5 ore… mentre mentre mentre... la realtà alla fine dice solo una cosa, unica e inequivocabile:


sono diventato troppo vecchio per queste cose!

(... continua...)