Stegal67 Blog

Wednesday, December 06, 2017

Tutto in una notte (seconda parte)


(…) Dopo un rientro da Toronto traumatico, ed un fine settimana così impegnativo, sarei pronto ad accasciarmi sul letto e dormire per una settimana. Ma la sveglia suona ancora una volta alle 5 del mattino del lunedì, perché il piano di lavoro prevede che io scenda a Parma. Sono ancora una volta i pizzicotti sul braccio a tenermi sveglio sul treno, e poi durante le riunioni che si susseguono nel corso della giornata: non posso dire di essere stato molto attento e presente, ma sono ampiamente giustificato dal fatto che non ho ancora smaltito il jet lag (nessuno è al corrente del fine settimana di-non-riposo…). Al rientro a Milano, scopro con raccapriccio che la Signora Merkel deve aver fatto qualche pasticcio anche con le Ferrovie dello Stato, perché i treni per tornare a casa sono tutti in straritardo! Avevo intenzione di cominciare in serata il travaso dalla borsa di Bobbio alla valigia di Roma, e per mantenermi in linea con i programmi finisco di preparare il bagaglio a tardissima sera.
Per fortuna a Roma mi attende un tempo decisamente più caldo rispetto a quello appenninico. E per ulteriore fortuna, a Roma mi attende Mike!
Per chi ancora non lo conoscesse, Mike Edwards è un bravissimo speaker, di enorme esperienza. Quando io nel 1999 ancora mi aggiravo nei boschi con l’aria di quello che non saprebbe raggiungere da solo nemmeno la partenza, Mike era già nel parterre dei Campionati Mondiali disputati in Scozia (è stato lui ad innalzare sul pennone più alto la bandiera britannica per la vittoria mondiale di Yvette Baker). Ancora di più, Mike ha una competenza davvero sconfinata, che emerge ulteriormente nel momento in cui fa da speaker in una gara nella quale ci sono così tanti atleti provenienti dalla Gran Bretagna, di cui ovviamente conosce vita e miracoli. Ma molto molto più importante: Mike è un autentico mattacchione! Come a me, anche a Mike piace divagare su qualche aneddoto del passato, magari neppure relativo all’orienteering ma a vicende sportive in generale. Di conseguenza, la coppia che si presenta al microfono del Rome Orienteering Meeting è la migliore che si può mettere in campo, ovvero “Mike e chiunque altro al suo fianco” (“the best pair of speakers in orienteering is Mike and anyone”): lui copre la parte agonistica, io mi metto alle sue spalle e faccio la spalla comica!
Arrivato a Roma con il treno di venerdì mattina (mi sono addormentato che il treno era ancora in centrale, e mi sono svegliato più a meno a Roma Tiburtina), scongiurato il pericolo dello sciopero della metropolitana che mi avrebbe costretto ad arrivare sul campo gara facendo 5 km a piedi con la valigia appresso, posso salutare la compagnia del CCR Roma e cambiarmi subito: è già l’ora di affrontare il percorso disegnato la Caffarella da Stefano Zarfati.

Un po’ infangata la carta, isn’t it? Non ci sarebbe stata alcuna ragione per rovinare la mappa di gara in quel modo, se non fosse stato per una tonnàta ciclopica tra il punto 14 ed il punto 15. In quel momento, infatti, forse mi sono sentito bello veloce per via della discesa appena fatta in mezzo ai coniglietti che scappavano via da tutte le parti… forse ero troppo veloce (?), e non ho visto l’accesso verso sinistra per andare al punto 15. Tutto ciò che vedevo della mappa, tutto ciò che pensavo, era di girare a sinistra non appena terminata la rude macchia impenetrabile color verde, superare la curva di livello che corre parallela al sentiero ed arrivare al punto.

Curva di livello? Quale curva di livello? Trattasi in effetti di un fosso abbastanza profondo, maleodorante e fangoso come la mitica fogna di Calcutta. Il fatto è che, quando mi sono girato a sinistra alla fine del macchione verde, non ho trovato alcuna salita ma un fosso; nessun dubbio mi è passato per la testa se non una cosa del tipo “nessun fosso mi può fermare”. Eh… ma il fosso non era mica d’accordo! La constatazione amichevole tra me ed il fosso non mostra con chiarezza che ero io a venire da destra, ma la carta di gara uscita dal confronto con uno strato uniforme di fanghiglia marrone dimostrava che una curva di livello in quel punto c’era eccome, a rappresentare la profondità del fosso! Oltre alla carta marrone, il risultato dell’attraversamento del fosso è che mi trasformo immediatamente in una sorta di mostro della laguna nera maleodorante, o una specie di maialino che ha appena finito di rotolarsi nel fango. Accade così che il mio arrivo al traguardo, in uno stato pietoso, venga accolto dagli occhi sgranati di parecchi partecipanti che pensavano ad un tranquillo parco cittadino (come in effetti è il Parco della Caffarella). Ola Skepp, capostipite della omonima famiglia, si limita a sollevare gli occhi al cielo sapendo che per tre giorni gli toccherà sorbirsi la voce del matto che aveva già sentito a Siena. Papà Gajda, coach dei vari fratelli che mettono a ferro e fuoco le gare estive e finanche i Campionati Europei Giovanili, se ne esce con un “ma non è un parco questo?” ed io rispondo “it’s only a shortcut!”. E tutti tornano felici e contenti (e tutti torneranno al traguardo puliti come appena usciti dal bucato…).
Completata la raccolta punti con il buio, si ricomincia all’alba di sabato con la seconda tappa al parco di Villa Pamphilj. Un posto che sarebbe stato perfetto per una gara sprint olimpica (Roma 2024 che non ci sarà più), ma è sempre perfetto anche per una gara middle soprattutto da quando c’è la possibilità di passare sopra il Viale Olimpico e, quindi, correre sia nella parte est che in quella ovest della mappa.
Nella mia gara riesco a fare tutto ed il contrario di tutto. In partenza mi sembra che le gambe siano abbastanza reattive (potere del comodissimo divano letto messo a disposizione da Zarfo, e del fatto che con i tappi nelle orecchie non sento Mike che russa sul divano a fianco…), ma una volta arrivato sul ponticello che passa sopra la strada olimpica finisco lungo e disteso per terra: un tondino di ferro che sporge dalla spalletta del ponticello ha agganciato la parte superiore della scarpa e l’ha letteralmente divelta dalla suola! Probabilmente se fossi passato con il piede un millimetro più in alto non sarebbe successo niente, ma un millimetro più in passo sarebbe “partito” anche il mio piede. Con una scarpa in quelle condizioni, devo rallentare ed optare per una tattica molto conservativa: cerco di tenere il piede in quello che rimane nella scarpa quando devo fare salite e discese nei boschetti, mentre cerco di correre a piedi scalzi come Abebe Bikila o Zola Budd quando sono su terreno pianeggiante e c’è l’erba. In ogni caso, quando arrivo al punto il piede comincia a fare davvero male perché anche la calza ormai si sta disintegrando: il finale sulla ghiaia del sentiero che porta all’arrivo è una sofferenza, ma almeno anche questa gara è fatta.
Purtroppo tutto questo mi si ritorcerà contro nella gara di domenica mattina (ancora una volta all’alba) nel centro storico di Roma. Le scarpe con cui corro non sono adatte per nulla, le gambe non ne vogliono sapere ed io comincio ad avvertire un po’ di “saturazione”: già per venire a capo del reticolo di punti alla partenza di Coppe Oppio, con lo sguardo che indugia sempre a destra verso il Colosseo, impiego un tempo indecente; mi riprendo un po’ nella parte centrale della gara, ma dopo la salita al dedalo di “sentieri pensili” dei punti 17 e 18 posizionati nel giardino che sta 15 metri sopra il livello della strada, le gambe decidono che non ne hanno più.
Gli ultimi 10 punti del percorso si traducono quindi in una stanca passeggiata attorno al Campidoglio: ogni volta che cerco di rimettermi a correre, invogliato dal passaggio di decine di podisti che corrono veloci attorno a me lungo i Fori Imperiali e la collina del Campidoglio, le gambe mandano un severo monito al cervello ed i piedi ricominciano immediatamente a strascicare sul terreno. Imbarazzante il passaggio davanti alla postazione dell’Esercito per andare alla 24: cerco di fare il brillante salutando come al solito tutti i vigili gerdarmi guardiegiurate forestali e poliziotti che incontro “buongiorno… sono l’apripista della gara… tutto ok nessun problema!”. Mentre mi allontano lentamente, sento uno dei soldatini che dice all’altro “se il pericolo è lui, lo acchiappiamo senza fare nemmeno fatica…”. Per fortuna da lì non sono passato una seconda volta.
Poi anche il Rome Orienteering Meeting finisce in gloria: puntualissime e molto partecipate fino in fondo le premiazioni by Mike con la colonna sonora di Don’t let me be misunderstood nella versione di Leroy Gomez & Santa Esmeralda; in fondo sarebbe bastata la voce con accento british e la cadenza di Mike, e che Leroy Gomez si vada a nascondere…
« The best doubles pair in the world is John McEnroe and anyone »  (Peter Fleming)

 

 

1 Comments:

At 2:13 PM, Blogger Unknown said...

Great article and always a pleasure to work with the best speaker around

 

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